La principale modalità di trasmissione della cultura storica, la vera grande arena della public history, è la scuola. Gli obiettivi, i metodi e le finalità con cui la nostra disciplina viene veicolata dal sistema d’istruzione determina in larga misura la ‘coscienza storica’ del cittadino. Ça va sans dire, quest’ultima ci appare largamente deficitaria, come lo è del resto quella relativa alle scienze dure. Anche il Legislatore se n’è accorto: come prerequisito per l’accesso ai concorsi per insegnante, fino a 16 degli ormai famosi 24 CFU sono acquisibili nelle didattiche specifiche delle diverse discipline. Non solo, è prevedibile che una parte significativa dei 60 CFU previsti per il nuovo percorso di formazione post lauream e post concorso (FIT) sarà riservata al perfezionamento nelle didattiche disciplinari. La Storia è ampiamente coinvolta perché inserita come materia d’insegnamento in ben cinque e fondamentali ‘classi’ concorsuali. Pertanto i corsi di Didattica della storia, quella parte della nostra disciplina che studia le strategie di trasmissione di un sapere epistemologicamente corretto e le tecniche per misurarne e aumentarne l’efficacia, dovranno essere giocoforza attivati in tutti gli atenei.
Non nascondiamoci che le difficoltà e i ritardi sono davvero notevoli. Non sono mai stati avviati progetti di dottorato in questa direzione; gli assegni di ricerca erogati finora si limitano a due. Il legame scuola-università, imprescindibile in questo campo, si è nel tempo molto allentato, salvo eccezioni particolari. Non ci sono insegnamenti di Didattica della storia nei nostri corsi di laurea triennali e magistrali, mentre ad esempio, in alcuni Lander tedeschi o nei Paesi Bassi, corsi, seminari e esercitazioni in tal senso sono obbligatori, addirittura in certi casi fin dal primo anno. Infine, la tradizione italiana di studi in questo campo è esile, ha attirato solo pochi e isolati, benché coraggiosi studiosi; le meritevoli e molte volte positive esperienze svolte da e con le scuole e dalle associazioni e istituti sono andate spesso perdute e restano comunque disperse in vari rivoli. Soprattutto, non vedo ancora del tutto dissolta una certa diffidenza riguardo a questa branca strategica del nostro sapere, che nel resto d’Europa gode di dignità e di rispetto ed è pienamente inserita nel cursus honorum accademico.
La SISEM si è occupata per tempo e con continuità di tutte le questioni relative alla formazione degli insegnanti, a partire dal convegno di Manfredonia del 2009, i cui atti vennero pubblicati sulla rivista Mundus (a. II, nn. 3/4, 2009, pp. 62-91). Questo impegno ci ha permesso, ad esempio, di assumere un ruolo di guida nella formulazione dei syllabi per i 24 CFU. La Commissione della SISEM, ora presieduta da Angelo Bianchi, trovata piena collaborazione e sintonia nella ‘Commissione didattica del Coordinamento nazionale delle società storiche’, costituitasi nel luglio del 2016 e coordinata da chi scrive, sta ora operando attivamente per iniziative convegnistiche e momenti formativi, che si spera si moltiplichino e diano concreti risultati nella costruzione della nuova e necessaria expertise nella didattica della storia e nella formazione degli insegnanti.