Dopo un primo iniziale interesse manifestato nei decenni a cavallo tra XIX e XX secolo grazie ai lavori del botanico Orazio Comes (1900) e dell’antropologo Berthold Laufer (1924), la vicenda della diffusione mondiale del tabacco ha attratto nel dopoguerra soprattutto l’attenzione degli storici dell’economia e dei commerci atlantici, attenti a ricostruire tanto l’impatto dei nuovi prodotti sul vecchio continente che a comprendere quanto queste merci abbiano plasmato le colonie (Chaunu 1955-56 e Price, 1973, 1996). A partire dagli anni novanta del XX secolo si è assistito ad una divaricazione di approcci determinata non solo dalle diverse sensibilità storiografiche, ma anche dalle differenti modalità di gestione del tabacco da parte degli stati d’antico regime, che hanno inevitabilmente prodotto e lasciato testimonianze documentarie diverse. Se così ad esempio in area iberica, dove prima che in ogni altro paese venne imboccata la strada della privativa e dell’accentramento produttivo e commerciale del tabacco, sulla scorta dei ricchissimi archivi della fabbrica del tabacco di Siviglia si è dato avvio ad una serie di ricerche attente a ricostruire il funzionamento della macchina produttiva e distributiva e alla messa a punto di efficaci sistemi amministrativi in grado di tutelare gli interessi fiscali della corona (Rodriguez Gordillo 2002 e Gonzales Enciso 2008), in area anglosassone, invece, l’interesse si è andato concentrando maggiormente sulla dimensione sociale e culturale del processo di diffusione del consumo della “erba regina”. A partire dallo studio pionieristico di Rogozinski (1990), per passare poi a Kiernan (1991), Goodman (1993), Nourrisson (1999), Gately (2001) Burns (2007) e Norton (2008) il tabacco e il suo consumo sono stati indagati nelle loro implicazioni magico religiose, oltreché mediche e latamente culturali, con attenzione al consumo distintivo e al suo modificarsi nel corso degli anni. Ancor più di recente le vicende del tabacco sono tornate al centro dell’interesse storiografico in un contesto culturale attento alla global history e ai processi di transculturazione (Brook 2008 e Mann 2011).
La storiografia modernistica sulla penisola italiana, priva di una tradizione coloniale, ha per lungo tempo disdegnato l’argomento, quindi, sulla scorta della tradizione iberica, da cui gli stati preunitari hanno mutuato i propri sistemi di privativa, gli storici “italiani” hanno affrontato il tema in un’ottica sia economica, attenta ai consumi e alla produzione, sia, e soprattutto, fiscale. Non è un caso che le prime ricerche sull’“economia del vizio” siano state condotte da storici economici quali Roberto Mantelli (1995) e Cinzia Capalbo (1997). Sempre sulla scorta della produzione iberica, il tema della diffusione del tabacco si è rapidamente ampliato a quello delle modalità di gestione delle privative e del contrabbando (Capalbo 2000) (Tolomei 2013). In realtà il tema ben si presta a indagare il nostro passato da una molteplicità di prospettive diverse (Levati 2017): sul piano sociale le modalità di consumo del tabacco (fiutato anziché fumato, il ricorso al sigaro anziché alla pipa…), oltreché la diffusione delle sue diverse qualità, rappresentarono di certo un fattore distintivo nella società d’antico regime che merita di essere indagato, mentre ancor più rilevante appare l’impatto della sua produzione, vendita e consumo sul piano politico/istituzionale. Ne sono testimonianza gli interventi delle autorità a tutela degli interessi degli appaltatori prima e direttamente dell’erario poi, nel momento in cui la privativa venne amministrata in economia; interventi sempre più incisivi e che nella lotta senza quartiere al “privilegio” (individuale, territoriale, di ceto…) andarono a minare inevitabilmente i rapporti di forza sia politici che sociali tra le diverse componenti della società e a rimodellare su nuove basi le relazioni tra Stato e Chiesa (limitazione del diritto d’asilo) e tra Stato e sudditi. Non è certo un caso che il primo sciopero del tabacco, abilmente orchestrato dall’aristocrazia milanese, che non poteva certo lamentarsi di un lieve aumento del prelievo fiscale, si sarebbe registrato nella Lombardia asburgica degli anni cinquanta del XVIII secolo, all’indomani del giro di vite imposto dalla compagnia dei fermieri capeggiata da Antonio Greppi che, con il consenso “politico” delle autorità viennesi, mise in discussione e addirittura a repentaglio i privilegi di ceto.
D’altra parte il significato strategico della privativa del tabacco, simbolico, oltre che politico/fiscale trova indiscutibile riscontro nel fatto che il tema trovò immediatamente posto nella agenda delle municipalità rivoluzionate prima e, poi, nei dibattiti legislativi della stessa Repubblica cisalpina.
Insomma, la storia dell’erba della regina – lungi dall’esaurirsi nell’analisi della produzione e dei consumi – può fornire un importante contributo alla miglior comprensione della società e degli stati dell’Italia preunitaria.
Riferimenti bibliografici
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C. Capalbo, Contrabbando, commercio e fiscalità nel napoletano in età moderna. Il mercato illegale del tabacco, in Studi in Onore di Ciro Manca, a cura di D. Strangio, Cedam Padova 2000, pp. 97-121
H. e P. Chaunu, Seville et l’Atlantique, Paris, 10 voll., 1955-56
O. Comes, Histoire, géographie, statistique du tabac. Son introduction et son expansion dans tous les pays depuis son origine jusqu’à la fin du XIXème siècle,avec des notes sur l’usage de tous les excitans connus:hachich, opium, bétel, café, thé etc., Naples, Typographie cooperative, 1900
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