I fatti recenti della politica internazionale e della vita sociale e culturale hanno riportato in primo piano il problema della censura, della sua storia, dei suoi attori e della sua funzione nel corso del tempo. Nell’ultimo decennio in Italia e fuori d’Italia non sono davvero mancate le ricerche, spesso di alto livello documentario e teorico, che hanno affrontato il problema della regolazione dell’espressione scritta e orale in età moderna e dell’intervento di un qualche potere pubblico per modificare il risultato dell’operazione comunicativa. Il punto di arrivo è stato considerato generalmente la formulazione, quasi in contemporanea, del principio inviolabile della libertà di espressione e di stampa, nell’art. 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e nel primo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America adottato nel 1791. Per tutto l’Ottocento e gran parte del Novecento il richiamo a questa specifica formulazione della libertà di espressione e di stampa ha sostenuto tutta una battaglia per allargare quanto più possibile lo spazio disponibile a esprimersi senza ostacoli e ottenere accesso a risorse di comunicazione limitate e strettamente controllate. La libertà di espressione è stata considerata la posta in palio per un braccio di ferro a due: tra le istituzioni pubbliche, secolari e non secolari, poi dello Stato nazionale, e individui, che chiedevano di essere autorizzati a comunicare senza sanzioni. La storia fattuale, degli individui e delle istituzioni, ha mostrato (e la storiografia recente lo prova senza margine di equivoco) che la realtà è sempre stata molto inferiore alle esigenze poste dalla costruzione ideologica del diritto assoluto alla libertà di espressione e che l’esercizio del controllo si è manifestato in forme variabili anche nell’‘età dei diritti’.
Che cosa è cambiato nella nostra esperienza del controllo e nelle nostre sensibilità nei suoi confronti rispetto alla visione otto-novecentesca della censura? Per semplicità metterei in luce solo due trasformazioni fondamentali. La prima è che forme di controllo sulla comunicazione sono largamente riconosciute come una precondizione per una buona e civile convivenza. La proibizione del discorso di odio e le sanzioni previste per le notizie sistematicamente e intenzionalmente false, infondate e calunniose così come il riconoscimento del diritto all’oblio ricuperano preoccupazioni che, come aveva mostrato ormai più di 10 anni fa Charles Walton, erano, peraltro, percepibili nella discussione settecentesca1. La seconda osservazione riguarda le condizioni nelle quali si manifesta ora la tensione tra la libertà di espressione e la volontà di controllo. Jack Balkin ha, giustamente, osservato che il principio irrinunciabile della libertà di espressione deve essere ora tutelato innanzitutto dalla coercizione prodotta da una pluralità di istanze di controllo burocratiche, non più concentrate nelle istituzioni pubbliche2. La libertà di espressione si esercita ora garantendo non più l’accesso ai mezzi di comunicazione, che sono ampiamente disponibili nel mondo digitale, ma equilibrando il quasi-monopolio che alcuni mezzi di comunicazione detengono sulla nostra capacità di attenzione, limitata per definizione. In altre parole, i paradigmi che definiscono la censura sono cambiati e incorporano le esigenze di tutela e di equilibrio tra gli attori del processo comunicativo. La storiografia italiana e non italiana saprà certamente tenere conto degli esiti cui la vicenda delle istituzioni censorie ha portato nella sua globalità, dall’età moderna a oggi: non potevano saperne nulla Sarpi, Milton, Voltaire, Hume e Condorcet, ma questa non è una buona ragione per rinunciare a perseguire un approccio innovativo e consapevole, storiograficamente e civilmente aggiornato che trovi un senso nel nesso tra passato e presente.
Note bibliografiche
1 Charles Walton, Policing Public Opinion in the French Revolution. The Culture of Calumny and the Problem of Free Speech, Oxford University Press, Oxford 2009.
2 Jack M. Balkin, Free Speech is a Triangle, Columbia Law Review, Vol. 118, No. 7, 2018, pp. 2011-2056.