Vivere in guerra e scrivere sulla guerra, per venti anni, al tempo della Guerra dei Trent’anni – Angela De Benedictis – Università degli Studi Di Bologna (GIUGNO 2022)

I Principi, le potenze, e pure i loro sudditi che devono decidere come agire durante una guerra in corso hanno bisogno, per orientarsi, di riflettere sulle opere di politici e storici che ne hanno scritto dall’antichità ai giorni nostri.  Anche chi voglia osservare e comprendere una guerra in corso, per poi poterne scrivere, deve servirsi delle opere di politici e storici che ne hanno scritto dall’antichità ai giorni nostri.

Una particolare declinazione e applicazione del principio historia magistra vitae, quella praticata da Johann Wilhelm Neumayr von Ramsla (1572-1641), nobile e dotto sassone, che tra il 1620 e il 1640 – quindi, durante tutte le diverse fasi della Guerra dei Trent’anni – scrisse ininterrottamente, facendo tesoro della sua esperienza di viaggio in Spagna, Francia, Inghilterra, Paesi Bassi e Italia, al servizio per alcuni anni del duca Johann Ernst von Sachsen-Weimar.

Uomo di amplissima cultura, vero e proprio poligrafo, esperto di questioni militari e finanziarie, era in grado di leggere la letteratura dei paesi che aveva conosciuto, oltre il latino. Ognuna delle sue opere è scritta sia in tedesco (naturalmente in caratteri gotici) sia nelle diverse lingue delle opere che von Ramsla utilizzava: cronache, storie del mondo, trattatistica politica e filosofica, letteratura giurisprudenziale. Una vera e propria summa della cultura europea (con tutta la tradizione di cui quella cultura si alimentava) in argomento, con pochi riferimenti alla trattatistica de iure belli del tempo (Alberico Gentili e Ugo Grozio), nonostante che i problemi della guerra giusta, della guerra ingiusta e del diritto di guerra fossero ovviamente centrali per le questioni di cui si occupava.

In questi nostri tempi della guerra iniziata il 24 febbraio 2022 una rapidissima sintesi di alcuni suoi scritti può forse essere di un qualche interesse, come pietra di paragone per valutare il chiacchiericcio – nella maggior parte dei casi – delle diverse posizioni su Russia/Ucraina. Inutile avvertire che quando von Ramsla parla di Principe e potenze, noi oggi parliamo di stati, e che quando parla di sudditi, noi parliamo di cittadini.

A guerra iniziata da due anni, in quella che per lui è la presente Guerra Boema, von Ramsla pubblica nel 1620 l’opera Della neutralità e dell’aiuto o della parzialità e imparzialità in tempo di guerra (Von der Neutralitet und Assistenz oder Unpartheylichkeit und Partheylichkeit in Kriegszeiten, Erfurt 1620). Allora all’attento osservatore è già chiaro che tutti i potenti e Principi cristiani (è anche una guerra di religione) si dividono in tre gruppi. Uno presta aiuto e assistenza a una delle parti in guerra contro l’altra; un altro non si vuole immischiare e sta a vedere; il terzo vuole ancora stare nel dubbio se rimanere neutrale oppure mettersi a favore di una parte. Ognuno ha un suo particolare scopo. Il primo vuole favorire la pace e l’unione in una guerra così altamente pericolosa, oppure sotto la sembianza dell’aiuto desidera il suo utile; il secondo vuole rimanere neutrale per non attirarsi inimicizia o mettersi in pericolo con la sua terra e il suo popolo; il terzo vuole aspettare come si evolvono i rapporti tra le parti in guerra, per poi potere aiutarne una con sicurezza.

Se questa è la materia del trattato – scrive von Ramsla – essa viene chiarita con particolari esempi, tratti dalle opere di politici e storici, in modo che si possa vedere come in altri tempi Principi e potentati abbiano avuto vantaggio oppure danno dalle loro scelte. I capitoli in cui si suddivide il trattato (ognuno dei quali poi articolato in diversi numerosi punti, di cui qui è impossibile dar conto) sono i seguenti:

1. Quali motivi possono spingere un Principe alla neutralità.

2 Quali motivi possono spingere un Principe all’aiuto.

3 e 4. Quale vantaggio o danno deve aspettarsi dalla neutralità.

5 e 6. Quale vantaggio o danno deve aspettarsi dall’aiuto.

7. Che cosa deve fare un Principe quando è richiesto di aiuto da entrambe le parti in guerra.

8. Che cosa deve prendere in considerazione quando vuole rimanere neutrale tra le parti in guerra.

9. A che cosa deve pensare quando vuole aiutare una delle parti.

10. Quando un Principe non è potente, quale via deve scegliere tra neutralità e aiuto.

11. Deve aiutare la parte più forte o più debole?

12. Se in una guerra interna, detta bellum civile, si deve essere neutrali oppure prestare assistenza a una delle parti.

13. Se i sudditi di una autorità sono perseguitati e oppressi per motivi della religione, o altri, e cercano e chiedono aiuto e assistenza, si deve accettare o rifiutare la loro richiesta?

Quattro anni dopo von Ramsla dà alle stampe Delle alleanze e delle leghe in tempi di guerra (Von Bündnüssen und Ligen in Kriegszeiten, Jena 1624), di 674 pagine, e anche Delle trattative di pace e degli accordi in tempo di guerra (Von Friedenshandlungen und Verträgen in Kriegszeiten, Jena 1624), di 667 pagine. In quest’ultimo è più marcata l’attenzione dell’autore a quella dimensione delle guerre che la nostra storiografia contemporanea ha ormai da un ventennio abbondante definite come guerre ai civili. von Ramsla vede e testimonia come «nella nostra amata patria della Nazione Tedesca … belle città, castelli e villaggi [siano] in parte ridotti paurosamente in cenere, in parte completamente distrutti e desertificati, anche tante migliaia di uomini innocenti coinvolti, la maggior parte saccheggiati tanto da nemici quanto da amici e messi nella povertà e distruzione più totali. Ciò non ostante non si può immaginare alcuna cessazione della guerra»[1]. Da qui la riflessione che «quando un Principe e delle potenze hanno occupato a lungo, con la violenza della guerra e con eserciti, la terra e il popolo di un altro Principe o di un’altra potenza, e lo hanno distrutto, e nessuno vuole cedere all’altro e arrivare finalmente a reciproci compromessi e accordi, ma vuole invece vincere, solo e unicamente i poveri sudditi devono sopportare odio, inimicizia e la miseria che ne deriva». E chiude la riflessione con una citazione dalle Epistole di Orazio (I, 2, 14): Quidquid delirant reges, plectuntur Achivi[2].

Nel 1625 von Ramsla pubblica a Jena la seconda edizione di Della neutralità e dell’aiuto o della parzialità e imparzialità in tempo di guerra (Von der Neutralitet und Assistenz oder Unpartheylichkeit und Partheylichkeit in Kriegszeiten): 691 pagine invece di 183. Nella dedica al duca Johann Ernst von Sachsen-Weimar, datata 1° giugno 1625, von Ramsla fa esplicito riferimento ai due trattati «politici» del 1624 e chiarisce la necessità di una seconda edizione, dopo la prima del 1620. Ciò che ha avuto «davanti agli occhi» negli anni trascorsi ha comportato, infatti, tanto l’aggiunta di un capitolo (il settimo, in cui tratta della valutazione che un Principe deve fare sulla richiesta di aiuto da un altro Principe), quanto l’aumento degli esempi storici in materia del trattato[3].

L’ultimo capitolo della edizione del 1620, il tredicesimo, diventa così nel 1625 il quattordicesimo. L’argomento è sempre lo stesso: se i sudditi di una autorità (Obrigkeit) sono perseguitati e oppressi per motivi della religione, o per altri motivi, e perciò cercano e chiedono aiuto e assistenza, la loro richiesta si deve accettare o rifiutare? I diversi esempi storici che von Ramsla porta e anche gli scritti che utilizza, tanto in ambito di motivi religiosi quanto per altri motivi, hanno quasi tutti un elemento in comune: il fatto che l’autorità non rispetti gli accordi e le promesse fatti con i sudditi sul mantenimento delle loro libertà e privilegi. Cioè, la causa principale, per i diversi contenuti che possono avere, delle sollevazioni e dei tumulti dei sudditi contro i loro governanti.

Ogni storico dell’età moderna sa, anche solo a livello di storia generale (manuali, atlanti storici), che soprattutto a partire dalla conclusione della prima fase della Guerra dei Trent’anni, tutte le potenze coinvolte – quale più, quale meno – furono interessate da sollevazioni popolari dovute all’aumentato peso fiscale e anche agli alloggiamenti delle soldatesche. Questi sono, oltre i motivi specificamente religiosi, i contenuti di libertà e privilegi dei sudditi, ai quali, non a caso von Ramsla dedica due enormi trattati, in due anni successivi, durante la fase svedese della guerra.

Il primo, pubblicato nel 1632, Di contribuzioni e tasse (Von Schatzungen und Steuern, Schleusingen 1632), è strettamente collegato, per questioni affrontate ed esempi portati, al secondo, pubblicato nel 1633, Delle agitazioni dei sudditi contro i loro governanti e superiori (Vom Auffruhr der Untern wider ihre Regenten und Obern sonderbarer Tractat, Jena1633)[4]. Ognuno dei due trattati consta di circa un migliaio di pagine.

Prendendo ora in considerazione solo il secondo, Delle agitazioni dei sudditi, va sottolineato che, come già nei precedenti trattati, sono sempre i «più noti politici e storici dall’inizio del mondo a oggi» a fornire puntualmente a von Ramsla quegli argomenti. Così, lui stesso può riproporli – come dichiara – a chi voglia e/o debba esprimere il proprio parere, saggiamente considerare, giudicare e deliberare della questione in gioco: cioè di «Auffstand» (sollevazione), «Auffruhr» (agitazione), «Empörung» (tumulto) come problemi intrinseci alla legittimità del governo degli «Obern» (superiori, governanti) sugli «Untern» (inferiori, sudditi). Solo comprendendone le cause che si possono dedurre da tutti gli scritti politici e storici sia i sudditi sia i superiori possono decidere sul come agire giustamente, per raggiungere la meta desiderata. Si può così vedere che sollevazioni, agitazioni, tumulti non sono sempre contrari al bene comune e alla pubblica libertà. Alcuni tumulti possono esserlo, altri invece no. Dipende dallo scopo che si prefiggono. Dipende, in prima istanza, da come governa chi ne ha l’autorità: se a favore o contro il bene comune e la pubblica libertà. Nel primo caso un tumulto può essere condannato a ragione. Nel secondo caso, invece, no: perché chi governa contro il bene comune e la pubblica libertà è, notoriamente, un tiranno[5].

La struttura argomentativa del trattato analizza, dunque, se sollevazioni, agitazioni, tumulti possano o meno trasformarsi in sedizioni e ribellioni, cioè come fattispecie del crimine di lesa maestà. Tale tipo di analisi prende contestualmente in esame anche le possibili eccezioni e scusanti: cioè il governo ingiusto di chi governa, nei diversi possibili ambiti concreti della giustizia, della fiscalità, del rispetto degli accordi etc. Insomma, per von Ramsla, se il Principe è giusto e pio, i sudditi gli obbediscono. Se diventa tiranno e usa violenza contro i sudditi, se fa guerra ai suoi sudditi, allora ne consegue sollevazione e resistenza. L’uso della violenza contro i sudditi si verifica anche, come già analizzato nel trattato Di contribuzioni e tasse, quando gli esattori delle tasse abusano del loro ufficio e praticano ingiustizia e violenza. In tal caso i sudditi possono usare violenza contro gli esattori[6].

Una summa di tutte le questioni affrontate nei precedenti trattati è, in un certo senso, l’ultimo terminato di scrivere da von Ramsla poco prima della morte: Della guerra (Vom Krieg, Jena1641)[7]. Il migliaio di pagine è suddiviso in sette capitoli, a loro volta poi suddivisi – come di consueto – in numerosi specifici punti, corrispondenti a casi e esempi storici diversi. Capitolo I: Per quali motivi un Principe può essere mosso a prendere le armi contro qualcuno. Capitolo II: Quale utilità e vantaggio a un Principe, come anche a chiunque in particolare e in generale, può derivare da guerra e discordia. Capitolo III: Quale danno/svantaggio e rovina un Principe, come anche chiunque in particolare e in generale, può aspettarsi da guerra e discordia. Capitolo IV: Su che cosa deve riflettere, e anche fare, un Principe che vuole attaccare qualcuno con una Guerra, ovvero, bellum offensivum. Capitolo V: Che cosa deve valutare un Principe, che viene attaccato da uno con una guerra, o che cosa ne deve temere: ovvero, bellum defensivum. Capitolo: Che cosa deve fare un Principe quando si avvicina una guerra tra vicini, oppure è già in atto. Capitolo VII: Per quali motivi un Principe può essere mosso a stare lontano da una guerra, oppure smettere egli stesso di stare in guerra.

Ora, sul migliaio complessivo di pagine, alla guerra offensiva (capitolo IV) ne sono dedicate 300, in 20 punti e numerosi sottopunti. Alla guerra difensiva (capitolo V), 320, 18 punti e numerosi sottopunti. Per i casi esaminati riguardo le guerre difensive von Ramsla parla esplicitamemte e ripetutamente di «resistenza» (Widerstand).

Il Vom Krieg, terminato di scrivere il 17 dicembre 1640,non solo rende conto della lunga esperienza di von Ramsla come testimone oculare della guerra, ma ne certifica pure l’opera di scrittore, in certo qual modo, come di Ego-Dokumente[8]. «In questo anno 1640 per la terza volta sono stato colpito da saccheggio durante questa guerra predatrice, e per la decima volta durante questa guerra senza fine»[9]. Una guerra che ha comportato per innocenti tedeschi miseria a causa delle intollerabili violente contribuzioni, a causa di incendi e distruzioni e saccheggi perpetrati dai soldati, a causa di ruberie, paura, fame, esodo di popolazioni. Desolazione e distruzione della pace[10]


[1] von Ramsla, Von Friedenshandlungen und Verträgen, Vorrede [Premessa], p. 3 non numerata. Qui, come anche in tutti gli altri casi, la traduzione dal tedesco è mia.

[2] Ivi, pp. 3-4 non numerate.

[3] von Ramsla, Von der Neutralitet und Assistenz (1625), p. 2.

[4] Nella storiografia contemporanea una prima attenzione al trattato è stata data da Winfried Schulze, Die veränderte Bedeutung sozialer Konflikte im 16. und 17. Jahrhundert, in Hans-Ultich Wehler (ed), Der Deutsche Bauernkrieg 1524-1526, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1975, p. 277-302: 297, poi in altri lavori successivi dello stesso Schulze. Su questo ho parzialmente riferito in alcuni miei contributi: A. De Benedictis, “According to Bartolo”, “according to Baldo”. Archives of Knowledge for the Study of Revolt, in A. De Benedictis, K. Härter (eds), Revolten und politische Verbrechen zwischen dem 12. und 19. Jahrhundert. Rechtliche Reaktionen und juristisch-politische Diskurse / Revolts and Political Crime from the 12th to the 19th Century. Legal Responses and Juridical-political Discourses, Frankfurt am Main, Klostermann, 2013, pp. 17-40: 31-38; A. De Benedictis, La “normalità” della violenza nei tumulti di età moderna. Pratiche e discorsi, in F. Benigno – L. Bourquin – A. Hugon (eds), Violences en révolte. Une histoire culturelle européenne (XIVe – XVIIIe siècle), Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2019, pp. 81-97: 90-96; A. De Benedictis, Un sapere necessario alla politica come comunicazione: la giurisprudenza e i rimedi contro la tirannide, in Michele Basso, Mario Piccinini(eds), Dottrine politiche, concetti, comunità di discorso. In dialogo con Merio Scattola, “Quaderni di Scienza & Politica, n. 10, 2020”, p. 63-92: 85-91. Per recenti importanti riflessioni sui due trattati del 1632 e del 1633, cfr. Robert von Friedeburg, Luther’s Legacy. The Thirty Years War and the Modern Notion of ‘State’ in the Empire, 1530s to 1790s, Cambridge, Cambridge University Press, 2016, soprattutto pp. 262-270.

[5] von Ramsla, Vom Auffruhr, pp. 6-7.

[6] von Ramsla, von Schatzungen und Steuern, p. 569.

[7] Poi ristampato, postumo, nel 1644.

[8] Sul tema rinvio qui solo a Winfried Schulze (ed), Ego-Dokumente. Annaherung an den Menschen in der Geschichte, Berlin, Akademie, 1996.

[9] von Ramsla, Vom Krieg, Appendix, p. 987.

[10] Ivi, pp. 991-992.

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