La Storia moderna nella scuola, oggi – Dino Carpanetto – Università degli Studi di Torino (APRILE 2023)

Bene è precisare che questa riflessione sull’insegnamento della Storia moderna nella scuola secondaria superiore muove dalla convinzione del depauperamento culturale che la Storia nel suo complesso ha subito negli ultimi decenni. In buona compagnia con tutte le materie umanistiche, essa si è trovata costretta a rispondere al didatticismo imperante nei manuali e ad accettare il mantra della riduzione, semplificazione, spettacolarizzazione tramite immagini, video, podcast, LIM, webinar, e via elencando tra le fantasiose tecniche indirizzate a tenere per le dande insegnanti e allievi, quasi fossero demotivati attori di una pièce sempre più lontana dai loro sentimenti, dalla loro capacità di elaborare giudizi e dai loro interessi.

I vuoti della progressiva contrazione dei contenuti disciplinari, così evidenti comparando un manuale di oggi a quelli di qualche decennio fa, sono saturati da una batteria di simboli, colori, box, infografiche, rinvii interni ed esterni al testo, che rendono i manuali un unicum grafico dell’editoria, per giunta con alti costi per l’editore che si riflettono sul prezzo di vendita. Senza tener conto dell’infausto ingresso nell’insegnamento della Storia di una “non disciplina”, come l’educazione civica, presentata con vertiginose genealogie di concetti e problemi tratti dall’attualità e scheletricamente collegati ad alberi storico-concettuali del tutto forzati.

Oppure e ancor più della recentissima irruzione nei libri di testo dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta da 193 paesi aderenti all’ONU, un metafisico libro dei sogni che spiega cosa bisogna fare di qui ai prossimi sette anni per instaurare la pace, sconfiggere fame, malattie, analfabetismo, crisi climatica, vincere pregiudizi e discriminazioni, costruire un mondo egualitario, il tutto con un linguaggio attento a nascondere la realtà al semplice scopo di non turbare nessuno, soprattutto le grandi potenze firmatarie.

Cosa nasconde tutto ciò se non la perdita di senso della Storia, e nella fattispecie della Storia moderna, a dispetto delle buone intenzioni che si sono sentite in questi anni risuonare a difesa del suo irrinunciabile ruolo nella formazione civile e culturale degli italiani? Tanto più avanza la crisi della storia insegnata quanto più cresce la retorica del didatticismo, che si esalta affidando all’insegnamento nobilissimi obiettivi di inclusione sociale, di formazione della coscienza responsabile, di acquisizione di abilità (scusate, di skills, come viene detto nel lessico corrente). Se ne trae l’idea che il passato valga esclusivamente come laboratorio di esercitazioni concettuali e di modellistica gnoseologica, deprivato come è di passioni, di interrogativi, di appelli alla conoscenza stimolata dalle domande del presente.

Nel momento in cui si accetta la dequalificazione culturale della disciplina e per di più la si sollecita fingendo di volerla superare, la Storia moderna non può che trovarsi in sofferenza, al pari di tutta la cultura storica e umanistica. Vi è da credere però che l’età moderna incontri maggiori difficoltà al confronto sia con il Medioevo, che in genere registra in tutti i libri di testo una discreta valorizzazione, sia con il periodo dal Novecento a oggi, a cui i programmi riservano un intero anno del ciclo scolastico, l’ultimo, a dispetto della sua minore durata: quanto più il ciclo è lungo quanto meno tempo gli si dedica, e viceversa, secondo una superficiale idea politica che gli avvenimenti vicini meritino maggiore considerazione.

Poco importa se poi quel Novecento, dominante per numero di pagine, finisca con l’essere una massa di minute informazioni che spaziano su tutto il mondo, secondo una logica puramente estrinseca di storia globale che per forza di cose smarrisce i nodi profondi dei problemi. E ancor più smarrisce il rapporto con le eredità dei secoli precedenti. Chi ha contatti con il mondo della scuola avverte quanto gli insegnanti siano in difficoltà a gestire proprio il programma dell’ultimo anno delle superiori, chiamati come sono a far studiare un profluvio di fatti spalmati su ogni angolo della Terra, tale da rendere problematica una conoscenza razionale della contemporaneità. Molto più ragionevole e praticabile sarebbe invece dare ampio spazio alla storia contemporanea dell’Italia e dell’Europa, in quanto parte della nostra cultura di appartenenza; meno persuasivo è trasferire la preoccupazione per una informazione universale a ogni realtà del mondo attuale.

È proprio la dimensione troppo strettamente piegata sulla globalità a impedire la riflessione sui nessi tra l’insegnamento e la ricerca. Questo è l’unico terreno su cui possiamo svolgere un ruolo che esprima il significato politico della nostra professione. Certamente sappiamo quanto tutto ciò sia oggi difficile: lo si percepisce anche solo osservando le tendenze dell’editoria scolastica, generosa nello sfornare prodotti rutilanti di immagini, colori, supporti informatici, nei quali le competenze degli autori passano in secondo piano. Peggio ancora succede quando autori di fama (mediatica e non) tradiscono la correttezza dell’informazione con sfondoni non marginali e non ascrivibili alla categoria dei refusi.  

Suppongo condivisibile ritenere che alla conoscenza dell’età contemporanea la Storia moderna fornisca quello sfondo di temi e prospettive che mostrano le radici del nostro tempo, utili a una lettura non meramente attualizzante, ideologica e deformata, del nostro secolo e di quello precedente. Mettere in contrasto e in confronto i movimenti e le forze, vederne le matrici, valutarne lo sbocco: è questo un esercizio di conoscenza utile a rendere viva la storia insegnata, a farla agire attivamente come strumento di formazione dello spirito di cittadinanza, nella scuola come nell’Università.

Dalla Storia moderna è possibile ricavare consapevolezza proprio dei legami vivissimi tra passato e presente che l’insegnamento dovrebbe mettere in primo piano. Non merita forse riprendere alle radici la conoscenza che abbiamo di un mondo che è stato trasformato dalla Rivoluzione francese, dai movimenti nazionali e dalle tragedie del Novecento? Nel Settecento dei Lumi, del trionfo della scienza moderna, della discussione su tutti i principi della politica tuttora al centro delle nostre riflessioni, non si trova forse la genesi delle forze tutt’oggi in azione? E dai conflitti, dalle difficoltà e dai pericoli insiti in questo lavorio della ragione, della conoscenza, della scienza, è pensabile di trarre quell’intelligenza della storia che anche nelle maglie della didattica scolastica può sbocciare.

Fuor di retorica, la Storia moderna, intesa senza alcuna rigidità di periodizzazione identitaria, ma al contrario vista nel rapporto tra Medioevo ed età contemporanea, consegna con evidenza quell’idea di Europa come area di comune cultura politica cui assegniamo un ruolo attivo nella storia del presente. Anche da ciò che gli insegnanti di Storia seminano su questo terreno possono derivare frutti di apertura e di cosmopolitismo, tanto necessari in un paese come il nostro, che avverte tuttora le tracce di quella posizione periferica che lo ha tenuto per secoli separato dalle correnti più vive del pensiero europeo e dalle forze politiche determinanti nelle relazioni internazionali.

Quanto detto porta a un’ulteriore considerazione proprio sulla storia italiana, vista nei caratteri di lungo periodo e nelle durevoli peculiarità che trovano le loro sorgenti nei secoli del Rinascimento, della Controriforma, della crisi del Seicento, dell’Illuminismo, delle riforme settecentesche e delle rivoluzioni moderne.

Chi passa in rassegna alcuni dei libri di testo maggiormente adottati nelle scuole superiori, proprio in merito ai temi che conferiscono respiro politico e culturale alla Storia moderna avverte la tendenza ad ignorare le spinte più vive della storiografia che si è interrogata sui nodi di continuità e cambiamento della storia europea e italiana in età moderna. Inequivocabili esempi si rintracciano nei capitoli su Riforma e Controriforma, nei quali perlopiù si minimizzano il dissenso interno all’istituzione ecclesiastica e la durissima lotta condotta dall’Inquisizione per affermare la propria ideologia e sconfiggere ogni soluzione alternativa di carattere politico-religioso. Nei nostri libri di testo di eretici italiani si parla ben poco, con buona pace di Prosperi, Firpo, Fragnito, Maifreda, Bonora, Seidel Menchi, Felici, Caravale, Addante, Lavenia, e via proseguendo nel lungo elenco degli storici italiani che sul tema della Riforma e della Controriforma hanno dato vita a una delle più ricche stagioni di studi del dopoguerra.

Quando si passa a un altro tema cruciale, l’Illuminismo, ci si imbatte in giudizi che era lecito attendersi fossero sepolti nell’armadio dei ricordi, esattamente come fece Marc Bloch con la piramide feudale dei vecchi manuali. Venturi, Roche, Baczko, Israel, Ricuperati, Ferrone (ma l’elenco sarebbe molto più lungo) sembrerebbero avere lavorato invano: ancora e sempre il trionfo del razionalismo, l’assenza dell’immaginazione e dei sentimenti come potenti facoltà di trasformazione, ancora l’esotismo e lo sguardo ingenuo ed eurocentrico sul mondo esterno, nulla sull’Illuminismo radicale che ha cambiato negli ultimi decenni la mappa del Settecento. Come guarnizione della torta, dal dimenticatoio in cui ci si era illusi fosse stato cacciato qua e là riemerge spesso il concetto di “dispotismo illuminato” oppure si opera una equiparazione del tutto errata tra Illuminismo e riforme, accettando una sovrapposizione che è stata smascherata da tanti e autorevolissimi studi. Basti pensare alle insuperate pagine di Luciano Guerci in quella che resta la più informata sintesi sul Settecento.

Intervenire nelle condizioni attuali, quanto mai ostili al recupero di una qualità culturale della Storia moderna insegnata a scuola, sappiamo essere un’operazione ardua, ostacolata come è da tanti fattori che attengono al mercato editoriale, alla formazione dei docenti, alle attitudini e capacità degli studenti dell’era digitale. Ciò non toglie che si possa lavorare con il massimo della serietà, a ogni livello, evitando di cavalcare l’onda del successo prima di cadere nella facile seduzione della banalità.

Dino Carpanetto

14 marzo 2023