Molti di noi hanno già appreso la scomparsa di Natalie Zemon Davis. È mancata pochi giorni fa, sabato 21 ottobre, a quasi novantacinque anni: un’età alla quale ognuno di noi pensa come a un periodo di inattività, di torpore, di quasi-non-essere. Ma Natalie vedeva la sua età già ormai avanzata in modo diverso. Dialogando vent’anni fa con Denis Crouzet aveva detto a proposito della condizione della vecchiaia che “ è un po’ come quella della giovinezza, salvo che si sanno più cose e che sussistono sempre dei punti interrogativi […]. Bene! posso sempre accettare questa tappa della vita come un’avventura che prosegue, con molti problemi che restano da risolvere”. E infatti il suo ultimo libro (Listening to the Languages of the People. Lazare Sainéan on Romanian, Yiddish, and French – la sua ultima avventura!), è uscito l’anno scorso: un lavoro su un filologo e linguista che ha trascorso la sua vita tra tre lingue e le loro rispettive culture, rumeno (la sua lingua materna), yiddish e francese. Un intreccio dunque fra diversi mondi che non poteva non colpire Natalie, che sin dai suoi primi lavori ha seguito la stessa strada, studiando situazioni di confronto, di passaggio, di commistione, di sfida, dai primi saggi sul mondo francese del Cinquecento, al suo libro forse più famoso, Il ritorno di Martin Guerre, alle sue ricerche su Hassan al-Wazan/Giovanni Leone Africano, un caso quasi perfetto di trasmigrazione fra culture.
Un suo ex allievo, David A. Bell, ha scritto ieri nel suo ricordo che durante un seminario Lawrence Stone era intervenuto dicendo che leggere il lavoro di Natalie Davis è “come vedere frecce infuocate scoccate in una caverna oscura, che ne illuminano le pareti al loro passaggio” (seeing fire arrows shot into a dark cave, illuminating the sides as they flew by); e commenta: “Natalie Davis’s work was nothing if not an illumination”. Una rapida illuminazione, quasi come una inquadratura cinematografica improvvisamente mutata. Non per nulla Natalie aveva cominciato a studiare storia per creare documentari storici (in order to go into documentary filmmaking); infatti aveva tentato ripetutamente, senza riuscirci, di entrare in un gruppo che praticava professionalmente questa attività.
Natalie è stata una grande storica, rigorosa ma anche piena di immaginazione, quella immaginazione che da ragazza pensava di impiegare facendo cinema storico, e che invece ha utilizzato per scrivere i suoi libri. “Le fonti –ha scritto– mettono in moto la mia riflessione e la mia immaginazione; io rimango in dialogo con loro e amo questa relazione con il passato». Ed è stata una grande donna per le vicende della sua vita, per il coraggio con cui ha affrontato gli interrogatori della commissione McCarthy avendo tre figli, il suo lavoro da portare avanti e il marito licenziato e in carcere. Eppure non ha mai cessato di far sentire la sua voce. Un esempio per tutte noi e per tutti noi.
Ottavia Niccoli, 25 ottobre 2023