La storia dello Stato in età moderna, nella storiografia italiana degli ultimi quarant’anni, è stata al centro di accese discussioni, anche in occasioni di convegni sul tema (Barletta-Galasso 2007, pp. 263-280: Discussione). Dopo anni di interventi, e di approfondite rassegne di studi, il vertice polemico è stato probabilmente raggiunto da Ettore Rotelli, il quale non ha esitato ad intitolare il suo volume uscito nel 2013 per i tipi di Rubbettino L’insulto del silenzio: allusione non velata al fatto che molti modernisti non intendevano più usare quel termine. Punto.
In realtà, le forme di organizzazione del potere politico continuano ad essere oggetto di lezioni nelle nostre aule universitarie e a trovare spazio nei manuali adottati. Non potrebbe essere altrimenti: lo Stato di età moderna non coincide con quello di età medievale o contemporanea. Il processo che conduce alla concentrazione, alla razionalizzazione, alla legalizzazione del potere – non lineare, proteiforme e non di rado violentemente contrastato – è evidentemente specifico dei secoli XV-XVIII. Esso pose le basi per la successiva evoluzione, quella aperta dalla cesura del 1789. Chi nega tout court l’esistenza di un “early modern State”, è stato osservato con un certa ironia, ha l’onere di spiegare “how the modern state emerged fully armed in France and elsewhere from the revolutionary upheaval” (Capra 2015, p. 480, c.vo mio). Senza contare il fatto che lo Stato, dato per estinto da buona parte della storiografia già da decenni, nel nuovo mondo globalizzato continua a riemergere, obbligando alla rilettura dei suoi tratti qualificanti e della sua traiettoria secolare. Proprio in questi giorni, si può vedere nelle vetrine delle librerie una monografia sui confini di Stato (Maier 2019) che esplicitamente rivendica al Seicento politico europeo la creazione della sovranità territoriale: operazione del tutto artificiale, fatta di cartografia, di fortezze à la Vauban e di accatastamenti. È una prospettiva che riporta al centro la sociologia storica dello Stato di Max Weber e Charles Tilly, per citare solo due nomi agli estremi opposti del Novecento: così, ora che la ricerca si misura con gli orizzonti della world history, paradigmi che sembravano superati senza appello nel Vecchio Continente vengono chiamati alla prova di spiegare l’evoluzione delle forme stabili di vita associata anche nel resto del mondo (Kaspersen-Strandsbjerg 2017).
Ma fermiamoci qui: volevo soltanto dire che si stanno proponendo sempre più frequentemente esempi di una rinnovata sensibilità a trattare dello Stato in età moderna. Semmai, approfitto dell’occasione per richiamare l’attenzione sull’unica realtà politica che si presentava anche ufficialmente come “Status”. Infatti, “Status ecclesiasticus” in latino e “Stato ecclesiastico” in volgare sono le denominazioni usate correntemente nei provvedimenti normativi pubblicati dai pontefici dal Cinquecento al Settecento in riferimento al territorio di cui erano sovrani. Anzi, ancora nel 1815, le prime ordinanze emanate dopo la Restaurazione, riportano questa dizione, confermata dall’importante motoproprio del 6 luglio 1816 per la riforma dell’amministrazione pubblica (Tariffa 1815 e Moto proprio 1816). Con la pubblicazione delle statistiche della popolazione avviate negli stessi anni, e non prima di allora – se si eccettua qualche apparizione nella trattatistica dell’ultimo scorcio del Settecento –, si assiste allo slittamento verso la forma poi usata per tutto il XIX secolo: “Stato pontificio” (Riparto 1817). Se dunque vogliamo smarcarci da qualche rischio di anacronismo, smettiamo di chiamare “Stato pontificio” lo Stato ecclesiastico dei secoli dell’età moderna. In alternativa, si può usare la denominazione usata da Giovanni Botero, dagli ambasciatori veneti e da molti altri osservatori dal Cinque al Settecento: lo “Stato della Chiesa”.
Tale soggetto, come è universalmente noto, è stato indicato da Paolo Prodi come prototipo in toto dello Stato moderno (Prodi 1982). Cosa resta oggi, di una mossa esegetica così netta, per non dire provocatoria? Chi aveva tratteggiato e consegnato alla storiografia (non solo italiana) la figura del “sovrano pontefice” se ne è allontanato presto, interessato ad approfondire i problemi tra potere politico, potere economico e sfera del sacro in Occidente (con ricerche sul giuramento, sulla giustizia e sul mercato). Ma dalla sua dirompente proposta è scaturita – oltre ovviamente a una buona dose di critiche – un’intensa stagione di studi, che hanno investito molti ambiti: le carriere di chi operava in Curia, il governo della periferia, non esente da tensioni (con patriziati cittadini e nobiltà feudali), il cerimoniale e le sue ricadute politiche. In qualche caso, è tornato sotto osservazione il funzionamento di organi di governo e corti giudicanti.
Proprio questo è il campo che ha bisogno di un’intensificazione degli sforzi: non è affatto vero che conosciamo l’intera mappa degli uffici, la relativa sfera normativa, la loro prassi, la gamma delle aree di governo coinvolte dalla loro azione. Scarseggiano, inoltre, i sondaggi sull’impatto delle istituzioni nel più ampio contesto sociale in cui agivano, come esortava a fare Claudio Pavone quando ancora lavorava nell’archivistica (Melis 2006). Già, gli archivi. Potenti sollecitatori della conservazione e dell’ordinamento delle carte, i “sovrani pontefici” hanno lasciato dietro se stessi, soprattutto per i nostri secoli, un’enorme quantità di giacimenti documentari.
È una preziosa materia prima, a disposizione delle nostre domande.
Opere citate
Barletta-Galasso 2007
Lo Stato moderno di ancien régime. Atti del convegno di studi, San Marino, Antico Monastero di Santa Chiara, 6-8 dicembre 2004, a cura di Laura Barletta, Giuseppe Galasso, [San Marino]: Aiep, 2007;
Capra 2015
Carlo Capra, Governance, in The Oxford Handbook of Early Modern European History, 1350-1750, Volume II: Cultures and Power, ed. by Hamish Scott, Oxford: Oxford University Press, 2015, pp. 478-511;
Kaspersen-Strandsbjerg 2017
Does War Make States? Investigations of Charles Tilly’s Historical Sociology, ed. by Lars Bo Kaspersen and Jeppe Strandsbjerg, New York: Cambridge University Press, 2017;
Maier 2019
Dentro i confini. Territorio e potere dal 1500 a oggi, Torino: Einaudi, 2019 (ed. or. 2016);
Melis 2006
Guido Melis, Claudio Pavone e la storia delle istituzioni, in “Le carte e la storia”, XII (2006), fasc. 1, pp. 36-39;
Moto proprio 1816
Moto proprio della Santità di Nostro Signore papa Pio Settimo in data dei 6 luglio 1816 sulla organizzazione dell’amministrazione pubblica esibito negli atti del Nardi segretario di Camera nel di 14 dell’anno e mese suddetto, Roma: presso Vincenzo Poggioli stampatore della R.C. Apost., [1816];
Prodi 1982
Paolo Prodi, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna, Il Mulino, 1982;
Riparto 1817
Riparto dei governi e delle comunità delle quattro legazioni con i loro respettivi appodiati, Roma: presso Vincenzo Poggioli stampatore della rev. cam. apost., 1817;
Rotelli 2013
Ettore Rotelli, L’ insulto del silenzio. Stato moderno come amministrazione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013;
Tariffa 1815
Tariffa generale delle gabelle tassative che si dovranno esigere nelle dogane dello Stato ecclesiastico, Roma: presso Vincenzo Poggioli stampatore della R.C.A., 1815.