Filippo II è forse il personaggio storico al quale sono state dedicate più biografie. Le Vite e le Historie che lo vedono protagonista cominciano ad apparire già a pochi anni dalla sua morte e, complice la “leggenda nera”, continuano ad essere composte sia quando la Spagna era percepita come una minaccia per le altre monarchie europee sia quando essa, ormai diventata una potenza di secondo rango, era additata come un paese che, a causa dei vizi congeniti della sua popolazione, dei suoi governati e di un Cattolicesimo intollerante e oscurantista, viveva una depressione economica e morale che, nei fatti, la ponevano al bando dell’Europa “civile”. Anche l’Italia godeva della stessa pessima fama, ma almeno essa era (era stata) un paese dominato dalla monarchia asburgica e quindi risentiva dei suoi indirizzi politici e delle norme di comportamento che erano dettate da Madrid; la Spagna – invece – era il centro direttivo della monarchia e, quindi, la responsabilità delle condizioni in cui versava nel secolo dell’Illuminismo e in quello del Liberalismo dovevano essere ascritte totalmente ad essa e alla sua classe dirigente.
Questo sommario preambolo ha lo scopo di sottolineare come la storia della Spagna si intrecci con quella di Filippo II e viceversa: è grazie a lui che la Spagna è divenuta una potenza mondiale o è grazie a lui che la storia del secondo ‘500 e quella di gran parte del mondo si intreccia con quella di un paese che, sperperando le immense risorse di cui disponeva, si avvia a un declino che già altri grandi imperi del passato avevano conosciuto. Giudizi semplici questi, manichei e pervicaci, che ignorano gli sforzi, in gran parte riusciti, della Spagna borbonica del Settecento di riorganizzare le sue strutture di governo e di ampliare il controllo sui territori delle due Americhe, spesso nominalmente fino ad allora, sotto la sua sovranità.
La narrazione tipica della storiografia del tardo XVI e del XVII secolo, se vede interagire Filippo II e il suo paese, non contempla due soggetti paritariamente collocati: il protagonista è il re e il comprimario è la Spagna. Questo significa che in qualsiasi storia della Spagna, in qualsiasi descrizione della penisola iberica, in qualsiasi storia d’Europa, senza parlare delle biografie e delle fonti di natura diplomatica, un posto di primo piano assume il tratteggio, non tanto dell’operato del sovrano, quanto del suo carattere.
Scegliendo tra una larga messe di citazioni relative alla personalità di Filippo, possiamo ricordare, con Paolo Paruta, che quando l’allora erede al trono nel 1548 giunse in Italia “parve che non desse […] in tale occasione molta satisfattione di se, acquistandone nome di molta alterezza, come quello ch’era ancora giovane, senza isperienza delle cose del mondo […] pieno di certo fasto e elatione”; pervenuto ad età più matura, egli è “riuscito Prencipe di singolari virtù; ma tra l’altre di somma modestia e temperanza, trattando con tutti con decoro veramente maraviglioso; talché né humanità, né gravità maggiore si è potuta desiderare in lui”. (Historia Vinetiana, Venezia, eredi Tommaso Giunti e Francesco Baba, 1645, pp. 572-573).
Tutto sommato, il giudizio di Paruta sul re è positivo non accennando a quelli che potevano essere considerati i suoi difetti più gravi, quelli che fornirono l’occasione per la nascita e lo sviluppo della leggenda nera. In realtà, il genere delle biografie contempla sempre il momento del bilancio finale sulla personalità del soggetto, quello in cui pregi e difetti sono posti sui due piatti della bilancia per arrivare alla fine ad una valutazione complessiva del personaggio. Basti pensare, per parlare di Elisabetta Tudor, a quello che scrive Gregorio Leti in una biografia a lei dedicata: miracolo del sesso femminile, virtuosa, ottima governante, zelante nella religione, ma anche mostro di crudeltà, di simulazione, di lascivia, commediante (Historia overo Vita di Elisabetta Regina d’Inghilterra, detta per Sopranome la Comediante Politica, Amsterdam, presso Abramo Wolfang, 1693). Miracolo o mostro è Elisabetta per Leti, come lo sono gli altri sovrani del tempo che sono ritratti con tinte che risentono delle gelosie e dell’odio dei rivali spesso aggravati da motivazioni religiose. Per concludere su questo punto, il sultano Solimano è il Magnifico, il Conquistatore o il Legislatore? Oppure è tutto questo contemporaneamente?
Ma, ha senso oggi attardarsi sul profilo del re? È importante ascrivere i suoi comportamenti a pulsioni personali che non erano diverse da quelle degli altri monarchi dell’orbe cristiana e non? Anche perché egli visse 71 anni e, come scrive Paruta, il Filippo del 1548 è diverso da quello della maturità; senza considerare che – a parte alcune costanti di non poco conto – egli, attraversando fasi diverse della storia spagnola, europea e mondiale, atteggiò sempre i suoi comportamenti all’evolversi delle situazioni. Anche alla luce di quanto detto dallo storiografo veneziano, mi sembra impossibile contenere in un’unica biografia e con un solo filo rosso la vita intera di Filippo II a meno che non si accetti che le cronologie vanno differenziate e non solo per fasce di età del re, ma anche per le problematiche diverse che le caratterizzarono.
Il giudizio su di lui va riformulato o, almeno, reso più articolato. Pregi e difetti vanno contestualizzati e relativizzati; ma – ancora una volta – è sufficiente una biografia o tante biografie di Filippo II per comprendere le dinamiche politiche, sociali, religiose della monarchia ispanica, il senso delle relazioni internazionali che intrecciò, le ambizioni che coltivò, la stessa personalità del re e le opzioni che gli si aprivano nel governo dei suoi regni e nei rapporti con gli altri sovrani e gli altri paesi?
Le cronache, le biografie, le storie generali che ho letto ed utilizzato per la stesura del mio libro, a ben guardare, ci offrono delle piste per assegnare a Filippo e alla Spagna la complessità che meritano al di là delle solite contrapposizioni manichee. Quelle possono essere lette attraverso un prisma differente da quello degli estensori, possono fornire interessante materiale di studio e di riflessione anche per sostanziare le tematiche care ad una nuova storiografia che non disdegna di studiare il personaggio, ma è attenta ai condizionamenti tipici della società dei principi o delle basi confessionali del potere e lo colloca in un preciso ambito dinastico, cortigiano, cerimoniale che esalta, con la persona, la regalità, che unisce – e a volte giustappone – la realtà alla rappresentazione.
È stato merito dei convegni organizzati a partire dal 1998 dalla Sociedad Estatal para la Conmemoración de los Centenarios de Felipe II y Carlos V quello di aver fatto sì che particolari tematiche venissero affrontate e divenissero senso comune storiografico anche grazie al concorso di un gran numero di storici provenienti da ogni parte d’Europa e dalla stessa America latina. Essi hanno avuto il gran merito di sprovincializzare la storiografia spagnola e di aver inserito la storia della monarchia di Filippo II all’interno di vicende di più ampio respiro. Oggi, parlare di Monarchia Cattolica e del suo re significa porre al centro dell’attenzione non solo il cuore castigliano (fino a ieri quasi unico protagonista di ogni ricostruzione storica), ma i vicereami e i governatorati europei ed americani e le loro relazioni, spesso complesse, con la corte madrilena. Non solo, i grandi personaggi che sedevano nei Consigli, i viceré e i governatori, gli uomini d’arme godono di un’attenzione diversa che nel passato: essi hanno costituito la catena di comando che si dipanava dal centro alle periferie e, quando non erano di origini iberiche, il collegamento tra il re e le élites territoriali dei reynos e delle province della monarchia. Le fazioni transnazionali attorno alle quali quegli uomini si raggruppavano aiutavano il re a prendere decisioni delle quali, alla fine, egli si faceva personalmente carico. Ma la coralità della storia di Filippo trova nuovi spunti e nuovi punti d’interesse negli studi dedicati alla corte, intendendo con il termine quella principale e quelle secondarie (dei figli, delle figlie, delle mogli, del fratellastro Juan) e in quelli dedicati al potere declinato al femminile, quello che esercitavano le regine, le principesse (si pensi alla sorella Giovanna) e le infanti. In questo modo la figura di Filippo si è arricchita, è venuta fuori dalla ormai sterile contrapposizione tra angelo e diavolo, è diventata quella di un sovrano assente agli occhi dei sudditi ma sempre presente nel governarli, che praticava ed esaltava lo spettacolo del potere (ingressi, matrimoni, battesimi, funerali e…autos de fé) pur preferendo vivere in modo appartato e schivo, dotato di solidi convincimenti religiosi ma pronto ad entrare in conflitto con il papato, insomma quella di un sovrano moderno.
Studiare oggi Filippo II e la Spagna del suo tempo significa superare altre contrapposizioni, quelle tra pubblico e privato, tra soggettività del personaggio e oggettività delle situazioni, tra formale e informale, tra istituzionale e familiare e, soprattutto, significa studiare una Monarquía de las Naciones, una Spagna plurale nella sua dimensione territoriale, quella che produsse la prima globalizzazione della storia e che diffuse il castigliano e il Cattolicesimo ai quattro angoli del mondo. Forse l’unico difetto di Filippo fu quello di aver voluto unire, seguendo i suoi convincimenti e spendendo la propria vita e le risorse della sua monarchia, un’Europa irrimediabilmente divisa.